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Il Ponte dei sogni e le vere priorità dimenticate del Sud

Il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, che il governo Meloni sta cercando di rilanciare, si propone come un’opera faraonica destinata a cambiare il volto del Mezzogiorno. Ma dietro il fascino di un’opera imponente, c’è una realtà ben più complessa e scomoda: la Calabria e la Sicilia, da secoli, portano il peso di una serie di carenze strutturali e storiche che non si risolvono con un ponte. Queste regioni continuano a soffrire una mancanza di infrastrutture moderne, di servizi pubblici efficienti, e di opportunità economiche reali. Eppure, invece di affrontare questi problemi urgenti e concreti, il governo sembra preferire il fascino di un grande progetto che rischia di rimanere un sogno irrealizzabile.

Le carenze infrastrutturali del Sud non sono una novità. Calabria e Sicilia, purtroppo, sono state lasciate indietro per decenni, con strade, ferrovie e servizi pubblici che appartengono a un’altra epoca. Le ferrovie, in molti tratti, sono ancora quelle progettate ai tempi del Regno delle Due Sicilie, in un retaggio che le rende più simili a reliquie che a mezzi di trasporto moderni. Le autostrade? Spesso interrotte da lavori infiniti o, ancora più grave, prive di manutenzione ordinaria. Le scuole sono inadeguate, le strutture sanitarie sono datate e, in molti casi, fatiscenti. In alcune zone, i medici e gli infermieri sono una rarità, e le liste di attesa per visite mediche sono infinite.

Questo scenario di stasi è aggravato dal drammatico spopolamento che ha colpito entrambe le regioni. Ogni anno migliaia di giovani laureati, costretti ad emigrare in cerca di un futuro migliore, lasciano la Calabria e la Sicilia, lasciando dietro di sé territori sempre più vuoti e depauperati delle risorse più preziose: i suoi giovani.

Ed è proprio in questo contesto di necessità cronicizzata che emerge la proposta del ponte sullo Stretto. Si tratta di un progetto che, a fronte di un costo iniziale di 15 miliardi di euro, con ogni probabilità ne costerà il doppio, come già accaduto in altre grandi opere italiane. Un investimento colossale che rischia di non produrre effetti tangibili per la vita quotidiana dei cittadini del Sud. Anzi, molti esperti e analisti economici mettono in dubbio l’effettivo impatto di questa mega-opera sull’economia locale. Si parla di “milioni di posti di lavoro” e “sviluppo economico” come se il ponte fosse una bacchetta magica capace di risolvere tutti i problemi. Ma questa retorica non ha basi concrete. Non esistono studi approfonditi che dimostrino come un ponte, al di là della sua imponenza, possa realmente rilanciare il tessuto economico del Sud.

Al contrario, il ponte rischia di danneggiare settori economici già in funzione, come il trasporto marittimo, che impiega migliaia di persone tra operatori di traghetti, aliscafi, e altre attività collegate. Senza contare che, a livello di maestranze specializzate, le competenze necessarie per la costruzione del ponte saranno quasi esclusivamente provenienti da altre regioni, con pochi benefici diretti per le popolazioni locali. Le risorse per la costruzione dell’opera, infine, potrebbero arricchire ancora una volta le grandi imprese del Nord, senza che il Sud ne tragga effettivamente vantaggio.

A rendere ancora più incerta la realizzazione dell’opera, si aggiunge la recente bocciatura della Corte dei Conti, che ha messo in discussione la legittimità degli atti amministrativi legati al ponte sullo Stretto. La Corte dei Conti, infatti, ha negato il visto di legittimità necessario per l’esecutività della delibera del CIPESS, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, che aveva dato il via libera al progetto. Sebbene la Corte non si sia espressa sull’opportunità politica dell’opera, il suo intervento ha sollevato dubbi legittimi sulla conformità dei processi amministrativi del governo rispetto alla normativa vigente. In risposta, il governo Meloni ha accusato la Corte di “invadenza”, ma il ruolo della Corte dei Conti è chiaramente stabilito dalla nostra Costituzione: deve vigilare sulla legittimità degli atti del governo, soprattutto quando si tratta di spese pubbliche straordinarie come quelle previste per il ponte. Non si tratta di una ingerenza politica, ma di un controllo necessario per garantire che le risorse vengano gestite in modo trasparente e rispettoso delle regole.

Il fascino che suscita l’idea di un’opera così imponente è innegabile. Un ponte che collega le due sponde dello Stretto rappresenterebbe un simbolo di modernità, di progresso. Ma la vera domanda è: cosa serve al Sud? È davvero necessario un’opera mastodontica per risolvere i problemi cronici che attanagliano queste regioni, o sarebbe più utile un investimento capillare in infrastrutture locali, sanitarie e scolastiche che possano migliorare la vita quotidiana dei cittadini?

Nel corso dei decenni, il Sud ha visto passare innumerevoli progetti faraonici che promettevano miracoli e riscatto. Dalle autostrade mai completate ai treni ad alta velocità che non arrivano mai, allo sviluppo industriale sempre promesso e mai realizzato, il risultato è sempre lo stesso: enormi risorse spese per opere che spesso non rispondono alle reali necessità. La Calabria e la Sicilia non hanno bisogno di sogni grandiosi, ma di progetti concreti che possano fare la differenza nel quotidiano: scuole moderne, ospedali efficienti, strade sicure, e opportunità di lavoro che fermino la fuga dei giovani.

L’idea che un ponte possa risolvere i problemi storici delle regioni meridionali è illusoria. Il vero cambiamento non arriverà con la costruzione di un’opera colossale che, per quanto affascinante, non risponde alle necessità di chi vive quotidianamente nelle difficoltà. Il Sud ha bisogno di un’altra visione, una visione che investa nelle persone e nelle infrastrutture di base. È necessario un piano che riduca le disuguaglianze, che garantisca a ogni cittadino il diritto a una buona istruzione, a cure sanitarie adeguate e a un lavoro stabile e dignitoso.

Solo così, investendo sul capitale umano, il Sud potrà davvero sperare di uscire dal suo storico isolamento e di costruire una prospettiva di crescita autentica, duratura e soprattutto, condivisa. Il ponte sullo Stretto potrebbe essere il simbolo della speranza, ma la speranza reale risiede nella capacità di dare al Sud le risorse e le opportunità per crescere in modo equo e sostenibile, senza più promesse vane, ma con progetti concreti che mettano al centro le persone.

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